La fotografia è una tecnica relativamente giovane ma non bisogna dimenticare che, a partire dai suoi esordi, ha subito influenze ed ha attraversato diverse fasi esattamente come altre forme di espressione personale ed artistica.
L’attività dei fotografi nei primissimi anni del ‘900 era di tipo esclusivamente pittorialista. La tendenza era imitare i canoni estetici propri della pittura al fine di conferire valore artistico alle proprie opere. Le atmosfere erano oniriche, le composizioni e l’intera costruzione dell’immagine richiamava l’arte pittorica in voga nel secolo appena concluso, soprattutto la corrente preraffaelita e impressionista. In Francia Demachy diventa l’esponente di spicco del Pittorialismo. Scopre il mezzo fotografico a 30 anni e fonda e il Photo-Club di Parigi. Impara a manipolare pesantemente sia il negativo di partenza che la successiva stampa e, come lui, molti altri autori utilizzeranno tecniche di sviluppo e di stampa estremamente complesse con l’intento di replicare le opere pittoriche. La fotografia doveva ancora mascherarsi, i fotografi venivano considerati come dei “pittori mancati” e la fotografia era considerata il rifugio dei pittori senza fantasia. Molti intellettuali dell’epoca – tra cui Charles Baudelaire – la pensava esattamente così, in maniera critica ritenevano fermamente che non vi fosse Arte nel momento in cui ci si limitava a imitare la natura. La fotografia, riproducendo il reale, era lontanissima dall’immaginazione creativa e per questo fortemente discriminata, anche per il suo automatismo meccanico in un contesto storico in cui l’artigianalità svolgeva ancora un ruolo determinante nelle Belle Arti. Oggi sappiamo bene che la fotografia è assai distante dal solo registrare una realtà oggettiva, ma è chiaro ai suoi esordi era considerata null’altro che una mera fotocopia della realtà.
Saranno gli anni della grande depressione ad essere caratterizzati dall’esplosione di un nuovo movimento, ribelle e in totale rottura con quanto facevano i fotografi precedenti. Stiamo parlando della Straight photography, una corrente che finalmente apriva le porte della documentazione del reale, completamente in antitesi con il movimento pittorialista e contraria a qualsiasi manipolazione lontana dalle sole possibilità offerte dall’apparato fotografico. Presupposto della fotografia documentaria, del resto, sarebbe proprio stata l’abolizione di qualsiasi manipolazione fotografica in quanto ogni intervento l’avrebbe allontanata dalla realtà e resa, dunque, meno pura. Non è casuale che questo movimento nasca proprio negli anni della grande depressione statunitense, quando il crescente interesse nei confronti delle questioni sociali porta alla nascita di una nuova figura, quello del Fotoreporter, un fotografo che si rende portavoce e narratore di storie vere, storie quotidiane, di “persone come noi”, che potremmo essere noi. Storie con impatto sociale.
Ansel Adams e il gruppo f/64
Durante una vacanza allo Yosemite Nazional Park, a 14 anni, ad Ansel Adams viene regalata la sua prima macchina fotografica. Questo evento influenzerà tutta la sua carriera di fotografo. Inizia a fotografare principalmente i grandi parchi nazionali americani e da questa attività svilupperà la sua idea di fotografia: lo spettacolo sublime della natura non ha bisogno di artifici per esprimere tutta la sua maestosità, rendendo vano qualsiasi tentativo di allontanare la fotografia dalla realtà.
Ansel Adams diventerà uno dei pionieri della Straight photography. La sua visione è il punto di partenza per la fondazione del gruppo f/64, in cui confluiranno altri elementi di spicco della fotografia dell’epoca: tra gli altri Edward Weston, Willard Van Dyke e Imogen Cunningham. Il nome f/64 è una dichiarazione d’intenti, sta infatti ad indicare l’apertura del diaframma per ottenere la maggiore profondità di campo possibile, un valore che in termini pratici significa l’assoluta nitidezza dell’immagine.
Ma l’importanza di Adams non è limitata alle sue fotografie, fondamentale è anche il suo lavoro di ricerca in camera oscura, ambiente dove inventa infatti il sistema zonale (una tecnica per avere un maggiore controllo dell’esposizione in camera oscura). Scrive tre importanti manuali di tecnica: The camera, The negative e The print.
Ad approfondire realmente l’aspetto socialmente impegnato del movimento furono però altri fotografi, nello specifico due fotografi importantissimi degli anni ’20 e ’30: Dorothea Lange e Walker Evans.
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